Di solito, quando si pensa all’Andalusia, la prima immagine che salta alla mente è quella dell’Alhambra. Eppure, a rifletterci bene, è forse Cordoba la vera icona di questa bellissima regione.
Sono stata diverse volte nel sud della Spagna. È una zona che amo molto, per quanto sia molto distante da quello che generalmente mi piace. Di solito amo il nord, il verde, le cime innevate. Tutto il contrario dell’Andalusia, insomma. Eppure, sin dal primo viaggio questa terra mi ha affascinata. E, in assoluto, credo che la spiegazione di ciò possa essere spiegata raccontandovi di Cordoba e della Mezquita-Catedral. In piccolo, è quello che per me la regione intera rappresenta.
Cordoba è l’anello di congiunzione fra l’Europa e l’Africa subsahariana, fra le grandi religioni monoteistiche, fra alcune delle più importanti popolazioni protagoniste di secoli di storia. Basterebbe questo per giustificare una visita alla città. In effetti non sono poi così numerosi i centri dove un ponte romano può felicemente dialogare con una moschea medievale e dove il quartiere ebraico culmina con il grandioso edificio che ospita l’Università. Non c’è separazione fra questi retaggi; al contrario, si scivola dall’uno all’altro senza nemmeno avere modo di accorgersene.
Da questo punto di vista, la Mezquita-Catedral è paradigmatica. Ricordo ancora lo stupore dei tanti viaggiatori che ho accompagnato alla scoperta di questo luogo carico di significati e di bellezza. Penso ad Adriana, che nonostante i numerosi viaggi effettuati in giro per il mondo, mi disse candidamente di non aver mai visto nulla di più bello. O all’amica Francesca, con la quale ancora si discorre volentieri della visita fatta insieme. Oppure ad Andrea, che di ritorno dall’Andalusia mi confermò ciò che già sapevo: certo l’Alhambra, a Granada, è splendida, ma Cordoba con la sua Mezquita è sorprendente.
Il nome stesso lo suggerisce: quella che ora è la cattedrale di Cordoba, una volta era la moschea. E, ancora prima, pare che lì sorgesse un tempio romano. Quindi gli elementi ci sono tutti. Vi devo però confessare che, per quel che riguarda la storia, le mie conoscenze sono molto limitate. Questo perché, nonostante sia stata svariate volte alla Mezquita-Catedral, non sono mai riuscita ad ascoltare per intero una visita guidata. Non per colpa dei colleghi spagnoli, sia chiaro. Ma perché, entrando, le sensazioni e le emozioni sovrastano tutto il resto. Per una volta la mia parte razionale deve abdicare e lasciare via libera ai sensi.
E’ dunque complicato spiegarvi il fascino di quest’edificio: la luce soffusa, il gorgoglio dell’acqua che scorre nel cortile antistante, i raggi di sole che si insinuano fra i portali intagliati, i materiali preziosi, la selva di colonne che creano smarrimento e che, al tempo stesso, indicano una meta… sono tanti gli elementi che contribuiscono a rendere unica e speciale la visita della Mezquita. Tutte le volte mi incanto osservando l’infilata di archi che, con ritmo ed eleganza, sembra quasi definire una melodia. Nonostante spesso l’elevato numero di visitatori renda l’aula assai chiassosa, provo sempre una sensazione di sospensione e di attesa.
Ci vuole un po’ di tempo per capire come orientarsi e, soprattutto, per giungere alla chiesa vera e propria. Che sembra piombata dall’alto, tanto è differente nel gusto, nelle forme e nei colori. Un barocco fin troppo ostentato spezza l’armonia silenziosa della parte araba. Ma anche questo aspetto non è casuale. A ben pensarci la Reconquista cristiana piombò dall’alto e squassò un microcosmo che, per alcuni secoli, aveva prodotto meraviglie.
Basta addentrarsi nei vicoli della vecchia Cordoba per rendersene conto. La statua di Mosé Maimonide, sommo filosofo di origine ebraica, è a pochi passi dal monumento che ricorda Averroè, altro cittadino e filosofo illustre, ma musulmano. E, sempre passeggiando, ci si imbatte nell’antica sinagoga, che dista poche centinaia di metri dalla moschea trasformata in cattedrale. Lì vicino c’è pure la cappella di San Bartolomé, capolavoro mudejar, tanto per ricordare la presenza cristiana. Non c’era ghetto, né linea di demarcazione fra i quartieri. Ognuno faceva quel che sapeva fare meglio: i dominatori almoravidi governavano, gli ebrei si occupavano della burocrazia, i cristiani della gestione pratica della città. Già con la dinastia almohade la situazione peggiorò sensibilmente, sino ad essere rivoluzionata con l’arrivo dei sovrani cattolici.
Però il buon governo ha lasciato tracce indelebili. Il labirinto cittadino di Cordoba è quanto di più mediterraneo possa esistere: edifici bianchi rallegrati da persiane dalle tinte vivaci, gerani, profumi di spezie, cortili freschi e invitanti. Cordoba è il Mare Nostrum come dovrebbe essere, “nostro” cioè di tutti. Perché ognuno può portare qualcosa di buono e metterlo a disposizione degli altri. Detto così potrebbe apparire un’utopia, un ragionare in astratto. E, lo so, il buonismo non va di moda ultimamente.
Ma a Cordoba si può camminare e verificare con gli occhi e con il cuore che quell’equilibrio si può raggiungere. A proposito di occhi: vicino all’Università si trova il busto che ritrae Mohammed Al-Gafoui. Fu un medico oculista, in grado, già nel XII sec. di curare chirurgicamente la cataratta. Senza antibiotici e, verosimilmente, senza anestesia. Nonché con strumenti più rudimentali di quelli che oggi la scienza mette a disposizione. Eppure a Cordoba ebbe modo di mettere a frutto il suo ingegno. Perché laggiù la pace e la comprensione reciproca fecero germogliare meraviglie.