Qualche volta giudicare un libro dalla copertina (anzi dal titolo) è una buona idea. Come in questo caso. Paolo Cognetti, con New York è una finestra senza tende, ci porta alla scoperta della Grande Mela. Un testo a metà tra ‘romanzo di formazione’, memoir e saggio di letteratura, in cui il viaggio dell’autore diventa il nostro. Scommetto che chiunque abbia avuto la fortuna di visitare NYC, si ritroverà in alcune delle sensazioni descritte in queste pagine, se non in tutte…
Non posso dimenticare il mio arrivo in città. L’estate dei venticinque anni, uno zaino pieno di libri come sedile, e la corriera che emerge dal buio del Lincoln Tunnel. Anch’io cercavo qualcosa laggiù – le strade degli scrittori che amavo, la loro ispirazione segreta – ma non ero pronto all’accoglienza che mi aspettava. Sbarcando dal New Jersey, Manhattan apre il sipario all’improvviso: poco prima stavo contemplando un paesaggio di fabbriche e svincoli autostradali, e subito dopo ero tra i grattacieli.
L’edificio davanti a me, nella fuga prospettica della 34a Strada, assomigliava del tutto all’Empire State Building. Non ho fatto in tempo ad abituarmi alla luce che l’autista ha accostato, ha annunciato il capolinea e mi ha scaricato a terra. Di colpo ho smesso di osservare la città nel finestrino – e di studiarla, immaginarla, desiderarla, perfino averne un po’ paura – e ho cominciato a farne parte. Ho sentito molti racconti come questo negli anni. Colson Whitehead, uno dei miei spiriti guida alla città, ha scritto: “Cominci a costruire la tua New York privata appena posi gli occhi su di lei”.
Rispetto ad altre cronache di viaggio, chi c’è stato parte sempre da lì. Dal primo fotogramma. La prima guglia sparata in cielo, il primo marciapiede gremito, il colore della pelle del primo incontro. Il primo odore inatteso, che per qualcuno è di oceano, o di carne arrostita, o di zucchero a velo, o di ruggine e foglie marce, anche se quello che sta marcendo è legno, cemento, ferro, mattoni, perché l’intera città sembra attaccata dalla ruggine e dalla muffa. Sono inaspettati anche i colori. Non il bagliore freddo del vetro e dell’acciaio, ma le tonalità pastello del rosso, dell’arancio, del marrone.
La sorpresa di sbarcare nel Nuovo Mondo e scoprire una città vecchia: non come sono vecchie quelle europee, che sono vecchie come monumenti, ma vecchia come una fabbrica abbandonata, o una casa di famiglia, o gli edifici ferroviari che si vedono appena fuori dalle stazioni, o i luna park in disuso.
La mia prima New York, più che letteraria (come quella di Cognetti) è stata cinematografica. Ma la sensazione di quel primo incontro è stata la stessa: una città che ancora non conosci e che, in qualche modo, è già casa. Emozionante e destabilizzante allo stesso tempo.
L’esplorazione parte da Brooklyn, in compagnia di Walt Whitman e Melville. Poi attraversiamo il ponte. Luogo perfetto per una dichiarazione romantica? Sì, ma anche impresa epica, quasi eroica e punto d’osservazione eccelso dello skyline cittadino. La meta successiva è il Lower East Side. Personalmente una delle mie zone preferite: quartiere complesso da raccontare. La sua storia è data essenzialmente da quella di chi lo ha abitato. Che cosa andare a vedere? Come capire?
New York è la città dei musei. Si possono passare giorni e giorni a visitare il Moma, il Metropolitan, il Guggenheim, il Whitney, ma ce ne sono due che non bisogna perdere se si vuole capire qualcosa della storia di questa città: uno è il Museo dell’Immigrazione di Ellis Island, l’altro è il Tenement Museum del Lower East Side. Sorge al 97 di Orchard Street, in un edificio costruito da un sarto tedesco nel 1863.
Tra quell’anno e il 1935 ci hanno vissuto dentro circa settemila emigranti. Oggi gli appartamenti sono restaurati in modo da rappresentare gli ambienti domestici di diversi gruppi etnici: una famiglia tedesca del 1870, una irlandese del 1890, una ebrea russa di inizio Novecento, una italiana degli anni Trenta.
Che ne dite? Vi sembra un buon programma di viaggio? Se questa esperienza non vi basta, ci sono anche degli ottimi consigli di lettura. Molto di questo quartiere ‘è andato perduto’ ma quello che ormai è impossibile vedere con gli occhi è comunque rimasto nei libri.
Perduti in America di Abraham Cahan, Ebrei senza denaro di Michael Gold, Chiamalo sonno di Henry Roth, sono tutti ambientati nel Lower East Side d’inizio secolo. Di un’epoca appena successiva sono i racconti di Bernard Malamud. È un mondo di luci fioche, puzza di pesce, freddo che penetra nelle ossa, popolato da piccoli commercianti e artigiani, sarti, ciabattini, rabbini poveri in canna, sensali di matrimoni, padri che cercano soldi per curare figli malati, madri che sperano in un buon matrimonio per le figlie ma poi si rassegnano a darle in spose ad altri poveracci, ragazzi che invecchiano aprendo il negozio all’alba e chiudendolo quando è già buio, giorno dopo giorno per vite intere. Il commesso di Malamud è un romanzo degli anni Cinquanta ma racconta un mondo senza tempo: fatica di vivere e miseria nera, declinazione del libro di Giobbe ambientata tra Brooklyn e il Lower East Side, un destino ripetuto identico a se stesso per generazioni.
New York è una finestra senza senza tende è un libro splendido, in qualunque ottica voi lo leggiate. Non temete, l’esplorazione prosegue: Midtown, il Village. Bohème e lusso. Musei, locali, Salinger e Francis Scott Fitzgerald… Non può mancare una passeggiata a Williamsburg (dove io ancora non sono riuscita ad andare). Qui, se potete, cercate una panchina, sedetevi e leggete (o rileggete) Danny l’eletto, capolavoro di Chaim Potok.
Ad ogni rilettura di questo testo, trovo nuovi spunti. Mi gira quasi la testa. La mia lista di luoghi da esplorare e di libri da leggere si è, ancora una volta, incredibilmente allungata. Spero anche la vostra!
Paolo Cognetti, New York é una finestra senza tende, Laterza, Roma-Bari, 2017