Anche il rugby ha avuto un inventore. Il suo nome è William Webb Ellis e il gesto che ha dato origine a questo nobile sport è sospeso tra storia e leggenda.
A me il rugby piace. Non che ci capisca molto, ma mi ricorda gli esordi della mia carriera, quando mi è capitato di accompagnare gruppi di ragazzini inglesi che arrivavano in Italia per disputare qualche torneo. Sarà che sono sempre stati molto educati (e non posso dire lo stesso delle esperienze avute con i calciatori), sarà che avevano l’aria di divertirsi sul serio, sarà che la prima volta che vidi una touche rimasi affascinata. Il “terzo tempo”, poi, è un capitolo a parte: che a fine gara le due squadre si incontrino per mangiare e scherzare insieme a me pare il modo migliore per spiegare questo sport: fisico, ma mai violento.
Figuratevi, dunque, la mia sorpresa quando, qualche mese fa, esplorando la parte alta di Menton, mi sono imbattuta in una statua raffigurante un giocatore di rugby. Certo in Francia è uno sport piuttosto popolare, ma in una località della Costa Azzurra forse le priorità agonistiche sono di altro tipo. Peraltro il monumento ha pure una collocazione singolare, visto che si trova alle porte del Cimitero Vecchio. Mi è bastato guardarmi intorno un attimo per scorgere una freccia che invita a proseguire il cammino: varcata la soglia e percorsa qualche decina di metri è facile trovare la tomba di William Webb Ellis, colui che, secondo la leggenda, avrebbe inventato la nobile arte del rugby.
Ovviamente mi sono messa ad indagare e quanto scoperto è, almeno per me, abbastanza curioso. Innanzitutto, occorre precisare che non tutti concordano nel ritenere Mr Ellis l’inventore del rugby. Inoltre, mi premuro di dire che la parola “inventore” a me sembra inadatta. Non solo perché non si tratta di una scoperta scientifica (e qui il mio pensiero corre al buon Alessandro Volta e alla sua pila, tanto per citarne uno), ma soprattutto perché altri sport furono pensati a tavolino, seppure a seguito di un fatto fortuito (sapete come fu inventato il basket?), mentre il rugby nacque come risposta a una seccatura. E la seccatura era il gioco del calcio (o almeno le sue regole).
Che cosa racconta dunque la leggenda? Narra semplicemente di una partita di calcio disputata nel novembre del 1821 fra alcuni allievi della Rugby School durante la quale il buon William Webb Ellis si scocciò di giocare con i piedi, afferrò la palla fra le mani e corse verso la porta, formata semplicemente da due pali. In realtà, anche il calcio era ancora agli albori, quindi le sue regole erano meno chiare di quelle odierne: basti dire che non era vietato usare le mani per portare la palla, purché si retrocedesse. Probabilmente ad Ellis non riusciva di calciare in maniera decente e, meno che mai, aveva intenzione di correre verso la propria porta invece che in direzione di quella avversaria. Come sia andata nessuno lo sa, ma, come recita la lapide posta sulla sua tomba, il prode ragazzino “con elegante disprezzo per le regole del football così come giocato al suo tempo, per primo prese la palla fra le sue braccia e con essa corse, dando origine alla caratteristica principale del rugby.”
I dubbi sulla veridicità di questa storia sono molti, visto che solo nel 1880 un compagno di scuola di Ellis, rispondendo a un giornale che si interrogava sull’origine del rugby, raccontò l’episodio. E nessun altro dei compagni sopravvissuti lo ricordava. Ellis non era più questionabile a riguardo, dato che era morto nel 1872 senza probabilmente nemmeno vedere una partita dello sport da lui ideato. All’università, infatti, era stato un discreto giocatore di cricket e, dopo gli studi, era diventato un pastore anglicano. Morto in Costa Azzurra e là sepolto, rimase sconosciuto pressoché a chiunque, finché, sul finire degli anni 50, la sua tomba non venne riscoperta per essere inserita del Guinness Book of Records. Da allora è meta prediletta per gli appassionati di rugby, che non mancano di portare omaggi floreali e… palloni ovali.
Come sia andata esattamente non lo so. Ma io lo immagino il ragazzino William Ellis, stufo di praticare un gioco che proprio non gli andava a genio, afferrare la palla e correre senza pensare a nulla. Un gesto semplice e liberatorio. Un gesto che, metaforicamente, occorrerebbe fare più spesso. Perché, talvolta, lasciandosi alle spalle le regole imposte da altri e punti di vista oramai connaturati, si possono scoprire mondi nuovi.