Riflessioni dettate dal momento che stiamo vivendo. Pensate non tanto dalla guida curiosa che sono, ma dalla cittadina attenta che cerco di essere. Scritto di getto alla soglia dei quarant’anni, ma dedicato a chi, come me, non smette di credere in un futuro migliore.
Da sempre dico che la mia generazione è stata imbrogliata. Esempi? Da bambini ci dicevano che per trovare un lavoro avremmo dovuto studiare; ma quando ci siamo laureati ci hanno fatto sapere che in Italia mancavano gli operai. Da ragazzini ci dicevano di studiare l’inglese che era la lingua del futuro; noi abbiamo imparato l’inglese (e mica solo quello) e poi Luigi Di Maio è diventato Ministro degli Esteri (cito lui per dire di tanti altri). Da quando siamo nati ci hanno magnificato quel sistema per il quale, se si pagano i contributi, un giorno si andrà in pensione. Poi, quando abbiamo cominciato ad avere a che fare con l’INPS, ci hanno fatto sapere che se ci facevamo pure una pensione integrativa era meglio. Mi fermo qui. Penso di essere stata chiara.
Tanti di noi hanno studiato, si sono laureati, alcuni addirittura hanno conseguito il dottorato. Altri no. Tuttavia, tutti quelli che conosco si sono arrabattati per cercare una soluzione decorosa, per inventarsi una strada, per imparare sempre qualcosa e rimanere al passo.
Viaggiamo, parliamo inglese, abbiamo dimestichezza con la tecnologia, creiamo start-up, con fantasia cerchiamo soluzioni (la storia dei respiratori con le stampanti 3D, tanto per capirci). Per anni nessuno ci ha considerato, tralasciando la manfrina della fuga dei cervelli, che tanto qui non interessa a nessuno né di chi va né di chi resta. Non ci considerano neanche adesso, ma, per carità, ora ci sono problemi ben più urgenti.
C’è però una cosa che proprio non tollero e cioè il fatto che ci trattano come stupidi o, ad andarci di lusso, come teenager sprovveduti. Riflettiamoci per qualche istante.
Da due mesi ci tocca assistere alla penosa scena del capo della Protezione Civile che snocciola numeri così come si farebbe all’estrazione della Lotto: non un grafico né un diagramma, non una comparazione (a parte “è più di ieri, è meno di ieri”), non una localizzazione (gradirei tanto sapere se i contagi in Lombardia – ancora molto alti – si concentrano nelle RSA o meno e non perché non abbia a cuore la sorte dei più fragili, ma perché vorrei capire come è possibile che dopo due mesi a casa siamo ancora in condizioni simili). L’unica testata a fornire informazioni in questo senso, ancorché molto parziali, è Il Sole 24 Ore. Che cosa ne devo dedurre? Che secondo chi ci governa e chi fa informazione gli italiani non sono in grado di comprendere un grafico disposto su ascisse e ordinate.
E questi numeri senza senso offendono non solo la nostra intelligenza, ma pure la nostra umanità. Vi raccontavo tempo fa delle mie riflessioni al cospetto del Vietnam Veterans Memorial: un muro di nomi talmente fitto da far quasi perdere di vista che tutti quei nomi erano stati esseri umani con una storia, una famiglia, degli amici, un lavoro. Ecco, in questo periodo, quando ogni sera ci informano di quanti sono i morti, mi sento come allora. Non hanno volti quei morti. Non hanno parenti e amici a piangerli. O meglio, ce li hanno, ma li hanno fatti sparire dietro un numero. Giorno dopo giorno ci hanno abituato a quell’enormità, ci hanno anestetizzato di fronte a una tragedia così grande. Non solo siamo trattati come teenager, ma ci negano pure l’intelligenza delle emozioni.
Ma torniamo agli esempi. Tutti i santi giorni, a tutte le ore, in quasi tutte la trasmissioni televisive appaiono “esperti”. Scienziati e professori, senza dubbio, autori di pubblicazioni, ricercatori di grandissima esperienza. Solo che dicono tutto e il contrario di tutto nell’arco di pochi minuti. Qualche sera fa, nella trasmissione di Giovanni Floris la prof. Capua ha invocato, come preludio alla fase 2, una ricerca sierologica su un campione ampio della popolazione. Dopo 5 minuti un’altra professoressa, della quale ho già scordato il nome, ha affermato che non solo i test sierologici non servono ma non sono nemmeno attendibili. Quindi ne deduco che ci governa e chi fa informazione ritiene che la nostra memoria a breve termine duri meno di cinque minuti e che la nostra capacità di giudizio non riconosca due proposizioni antitetiche.
Poi è nata la questione della app. Dico la verità: mi sono disamorata della faccenda ancora prima che cominciassero a dibattere. Perché pensare che qualcuno di noi si preoccupi di far sapere dove ci troviamo in ogni istante significa affermare che crediamo che la situazione del traffico di GoogleMaps sia gestita tramite una capillare diffusione di formiche che forniscono al formicaio di Mountain View (lì vicino a Palo Alto) una relazione dettagliata e aggiornata di quel che accade sulle strade del pianeta. Quindi, noi che di tecnologia forse qualcosa sappiamo e che dobbiamo lavorare in smart-working per il bene del Paese, siamo trattati come gli indiani Lenapi che si fecero abbindolare da Peter Minuit e vendettero l’isola di Manhattan per pochi dollari (quando tornerò di buon umore vi racconterò anche questa storia).
Stendo pietoso velo su come traducono e riassumono i messaggi che politici di altri Paesi rivolgono ai loro cittadini. Perché mi viene da pensare che chi fa informazione in Italia pensa di avere l’esclusiva sulla possibilità di accedere a contenuti video e di capire che cosa dicono Macron e Merkel. Ricordo che ci avevano detto che dovevamo studiare le lingue straniere e noi lo abbiamo fatto. Solo che, ascoltando i politici stranieri, una riflessione viene spontanea: che abbiamo fatto di male?
Infine, un’ultima perla. Da settimane ci ammorbano con la storia dei braccianti agricoli che mancano, della verdura da buttare, della penuria che ci sarà. Il quotidiano della mia città qualche giorno fa ha pure pubblicato un articolo per raccontare del dramma delle pesche e degli asparagi. Però, sapete che c’è? Che siccome fino al 2021 sarò disoccupata e che la voglia di fare non mi manca, ho pensato di visitare la piattaforma della Coldiretti dove, secondo chi ci informa, ci si può offrire per andare a lavorare nei campi. Indovinate un po’? Sono stata più veloce della piattaforma, nel senso che nella mia provincia nessuno sta cercando braccianti. Poi magari a luglio metteranno l’annuncio per i raccoglitori di asparagi, ma forse sarà tardi… La tecnologia ci ha abituati ad essere veloci e le piattaforme digitali vuote sono un’immagine potente di quel che ci circonda: spendiamo ingenti risorse per cose che non servono a nulla perché chi le dovrebbe gestire non ne è all’altezza.
Potrei andare avanti, ma penso di aver già abusato della pazienza di chi è giunto fin qui.
Quindi chiudo. Con un appello. Prego chi ci governa e chi ci informa di prendere atto che gli italiani tutti (non solo quelli della mia generazione) non sono, mediamente, né stupidi né ignoranti. Basterebbe parlare loro in maniera univoca, chiara e autorevole. Perché forse, in mezzo a tanto dolore, l’unica cosa buona che potrebbe venirne sarebbe l’uscire dallo stato di minorità in cui continuano a volerci far sentire. Siamo diventati adulti e forse è il caso che chi di dovere cominci a capirlo. Poi qualcuno continuerà a guardare Barbara D’Urso, ma mica tutti…