Il Leone morente è uno dei monumenti più visitati e fotografati di Lucerna. La sua struggente bellezza è un inno alla fedeltà delle Guardie Svizzere e una prova del genio di Bertel Thorvaldsen.
Helvetiorum Fidei ac Virtuti
“Alla fedeltà e alla virtù degli Elvetici”. Questa inscrizione è incisa sulla roccia, a coronamento di uno dei monumenti più intensi che si possono trovare in Europa: il Leone morente di Bertel Thorvaldsen che si trova a pochissimi passi dal centro storico di Lucerna.
Per un motivo a me ignoto, l’enorme scultura è poco nota fra gli italiani. Al contrario, frotte di turisti extraeuropei vi si recano quasi in pellegrinaggio, convinti che sia una tappa imprescindibile durante un viaggio nel Vecchio Continente. Per questo invito sempre chi viaggia con me a fare una breve passeggiata per ammirare il Leone: tutto sommato, nel caso in questione gli orientali dotati di selfie-stick hanno ragione da vendere e nessuno dei miei compagni di avventure ne è mai rimasto deluso.
Il Leone è sicuramente di una bellezza struggente e la storia che racconta ci spiega perché dal 7 agosto 1821, giorno della sua inaugurazione, nessuno resta indifferente al suo fascino. 29 anni prima, infatti, le guardie svizzere che prestavano servizio alla corte del re di Francia Luigi XVI furono uccise durante la fase più violenta di quel grande capitolo della storia che va sotto il nome di Rivoluzione Francese. Non a tutti è noto che gli Svizzeri furono abilissimi guerrieri e per secoli prestarono il loro servizio come mercenari o alle dipendenze delle teste coronate europee. Se vi siete mai chiesti perché il Papa si avvalga dei servigi delle guardie svizzere, eccovi la risposta: in passato la sicurezza di tutti i monarchi era garantita da truppe elvetiche. A Roma semplicemente si continua con la tradizione.
Ma non divaghiamo troppo. Il 10 agosto 1792 i rivoluzionari assaltarono il Palazzo delle Tuileries e, mentre il re con la sua famiglia trovava rifugio nella vicina sala del Maneggio, gli svizzeri e la Guardia Nazionale rimasero a difendere la monarchia di fronte alla folla inferocita. Ad oggi non ho ancora capito quanti elvetici morirono, perché le fonti sono molto discordanti, ma si parla comunque di qualche centinaio.
E’ scontato che una simile carneficina scosse profondamente gli svizzeri rimasti in patria, ma negli anni a venire non vi fu modo di onorare la memoria dei caduti. Infatti, con l’avvento di Napoleone Bonaparte anche la Svizzera divenne francese e dunque le guardie, lungi dall’essere considerate eroiche, furono considerate nemiche del popolo e della Rivoluzione.
Il vento cambiò con la Restaurazione. Fu allora che il lucernese Karl Pfyffer von Altishofen, che un tempo aveva fatto parte del corpo delle Guardie Svizzere, riuscì a dar vita al suo progetto. Organizzata una sottoscrizione popolare, raccolse un’ingente somma di denaro per finanziare il monumento ed onorare i suoi commilitoni. Pare che, tramite sue conoscenze romane, si fosse risolto a rivolgersi proprio a Thorvaldsen perché temeva che Antonio Canova avrebbe rifiutato un simile incarico, oberato com’era di lavoro. In realtà nemmeno il Fidia del Nord (così l’artista danese era soprannominato) accettò appieno la commessa, forse a causa del budget messo a disposizione, ritenuto insufficiente. Almeno, però, Thorvaldsen acconsentì ad elaborare due bozzetti, che servirono poi allo scultore di Costanza Lukas Ahorn per completare il monumento. Ci vollero circa 14 mesi di lavoro.
E’ interessante ricordare che l’idea del leone morente fu di Thorvaldsen. Pfyffer pensava infatti a un leone già sacrificato, mentre il danese, colpito dalla vicenda e dall’eroismo dei soldati, suggerì di rappresentare l’ultimo soffio di vita. In effetti, guardando il risultato, ben si percepisce la sofferenza dell’animale che, per quanto rassegnato al suo destino, ancora stringe i vessilli del re di Francia e della Confederazione Elvetica. Fu addirittura lo stesso Thorvaldsen, incantato del risultato, ad esclamare che il monumento avrebbe di gran lunga superato tutti gli altri. E, ancora oggi, è difficile dargli torto.