Da anni vado dicendo che la nostra epoca è totalmente barocca. Di solito questa mia riflessione non trova molti estimatori, ma io ne sono sempre più convinta. E il 2020 mi sta dando ragione.
Chi mi conosce lo sa: a me il Barocco piace in tutte le sue declinazioni. Apprezzo la musica di Vivaldi (ma non tanto le Quattro Stagioni quanto piuttosto le opere), amo le chiese dalle volte sfondate dai trompe-l’oeil, sarei stata felicissima di aver potuto conoscere un genio come Francesco Borromini. Il problema è che, a non sapere di questa mia passione, io sono la persona meno barocca che si possa immaginare: razionale, lineare, semplice. Nemmeno mi trucco. E’ vero che gli opposti si attraggono, però a tutto c’è un limite. Mi si può immaginare frugalmente romanica. Neoclassica non direi. Ecco, volendo osare, potrei essere Liberty. E invece no: per mandarmi in visibilio mi si deve portare al cospetto di un’opera d’arte barocca.
Fra l’altro, questa mia particolare inclinazione è nata quand’ero ancora giovincella, cioè ai tempi delle scuole superiori. Me l’hanno spiegato bene il Barocco. Questo di sicuro. Però mi hanno parlato per mesi del Romanticismo, che ancora rifuggo come la peste. Niente da fare: la mia anima è barocca. E, in fondo, lo è per una questione quasi filosofica. Quello che mi affascina veramente è che è uno stile dove nulla è come sembra. Bisogna guardare attentamente, seguire le volute dei cieli popolati da Santi e da angeli, ricercare il dettaglio che porta alla conclusione inaspettata. Il Barocco è teatro. Un teatro da capire, interpretare e declinare. Ecco: quello che adoro è proprio questo. Bisogna capire.
E, a furia di insinuarmi nelle pieghe di un discorso complesso, a me è venuta questa idea. L’ultimo scorcio del XX secolo e i primi vent’anni del successivo sono quanto di più barocco possa esserci. Nel Seicento si creavano magnifici giardini con fontane scintillanti, i nobili si sollazzavano con passatempi sempre nuovi, le chiese dovevano meravigliare il popolo di Dio. E intanto si cercava di coprire, con una foglia di fico un po’ posticcia, le miserie dell’epoca. Subito si pensa alle carestie e alle pestilenze, alle guerre e ai lanzichenecchi. Ma occorre anche ricordare un altro tipo di smarrimento, decisamente più culturale. La forza di Martin Lutero aveva definitivamente squassato l’ordine religioso d’Europa, Copernico e Keplero avevano cancellato millenni di sicurezza astronomica, Cristoforo Colombo aveva fatto sapere che, al di là dell’oceano, c’era un altro mondo.
Semplifico ovviamente. Però non lo dico io: nel periodo barocco la parola d’ordine è di-vertire. Lo scrivo col trattino perché il punto non era il sollazzo tout-court ma il diletto che faceva guardare da un’altra parte. E l’etimologia della parola divertire è giusto questa: volgersi altrove. Dunque, ci si voleva dimenticare delle brutture del mondo. Poi c’erano quelli che, al contrario, ci tenevano parecchio a ricordare la caducità delle cose e la nullità degli esseri umani. Non a caso, uno degli slogan più in voga era “Memento mori”, “Ricordati che devi morire”. Allegria sfrenata e disperata angoscia. Nel mezzo il nulla.
Fin qui il XVII secolo. Un po’ lontano per noialtri uomini figli della scienza e della razionalità. Eppure… eppure a pensarci bene non siamo poi così diversi. Avete presente i SUV nei centri storici medievali, le TV maxischermo dentro ai monolocali, gli smartphone che costano più di uno stipendio in mano agli adolescenti? Ecco, a me ricordano tanto i nobili desiderosi di far mostra di sé e il popolo che guardava alla ricchezza, terrena o ultraterrena che fosse, come a un miraggio. Status-symbol, però, ce ne sono sempre stati. Certo. Ciononostante, temo che, mai come negli ultimi anni, il desiderio non sia solo e tanto quello di apparire quanto quello di sfuggire alla propria miseria. Ci si volge all’esterno, a ciò che è futile e superfluo, per non guardare dentro sé.
Poi c’è un’altra tangenza chiara come il sole: la peste. Noi lo chiamiamo COVID-19, ma sempre di pandemia trattasi. Quella volta erano i ratti, questa il pangolino (del quale ignoravo l’esistenza fino a febbraio). A me non sconcerta tanto il fatto che ancora oggi una malattia si propaghi a livello planetario. Quel che mi dà da pensare è il contorno: si parla di “untori” così come ne scriveva Alessandro Manzoni, il sentito dire e l’approssimazione vengono creduti attendibili come le pratiche dei ciarlatani di un tempo, il clima sociale diventa sempre più teso e nervoso. Di episodi veramente esecrabili, per fortuna, se ne sono visti ben pochi. Resta però una corrente sottotraccia, pronta a farsi viva alla prima occasione. E se è vero che la povera Maria Antonietta è vissuta già nel XVIII secolo, è pur vero che la sua boutade a proposito delle brioches, peraltro molto travisata, somiglia da vicino a certe uscite dei nostri esimi rappresentanti.
Ma andiamo avanti. Torniamo al “ricordati che devi morire”. Ci avete fatto caso? Da qualche anno si aggirano personaggi che prefigurano le più terribili sciagure. Non voglio entrare nel merito. Che i ghiacciai si stiano sciogliendo, che i contagi stiano aumentando e che i mari siano pieni di plastica, ahimè, lo so. Solo che, a parte fare la raccolta differenziata, andare a piedi e usare la mascherina (e limitare i contatti) io non so che farci. Intendo: lungi da me negare problemi veri e seri, però i lugubri scienziati che, in maniera più o meno implicita, mi addossano responsabilità circa l’andamento del pianeta e vogliono a tutti i costi instillarmi il senso di colpa, secondo me sbagliano bersaglio. Un po’ come i predicatori del Seicento che andavano convincendo lo stremato popolino che la peste e la carestia, in ultima analisi, se l’era meritate a causa dei loro peccati.
Ed eccoci giunti ai miei preferiti: gli scienziati. Potrebbe sembrare paradossale, ma la scienza ha dato il meglio di sé proprio nel periodo barocco. I primi nomi che mi vengono in mente sono Newton, Cartesio, Huygens, Galilei. Insomma: i padri della Rivoluzione scientifica. Spero sinceramente che quest’epoca buia ci stia preparando, così come già avvenne, a un fiorire nel campo della conoscenza. Perché il dogmatismo visto negli ultimi mesi, ancorato a non si sa bene che cosa, mi ha ricordato tanto da vicino la posizione di chi a tutti i costi doveva difendere l’universo tolemaico. A me è stato insegnato che, nelle discipline scientifiche, se qualcosa non è nota non si inventa. Certo si formulano ipotesi, ma guai a scambiarle per verità assolute.
Dove ci siamo persi non lo so. Però, tutte le volte che qualcuno mi fa notare che il Barocco “è troppo”, mi devo mordere la lingua per controbattere che anche la nostra epoca “è troppa”. Siamo pieni di tutto, ci rimpinziamo come se stessimo morendo di fame, non abbiamo un minuto libero, corriamo come dei forsennati senza avere una vera meta. E se, in realtà, questo stile poco apprezzato non fosse che uno specchio di fronte al quale si prova disagio? Lo sguardo si abbassa e vaga altrove, alla ricerca di qualcosa di più rassicurante. Gli specchi riflettono. Lo stesso possiamo fare noi.