A parte il nome curioso, che già di per sé varrebbe un’indagine, la storia di Durlindana, la spada del paladino Orlando, è tutta da scoprire.
Tempo fa scrivevo di Roland, alias Orlando, e della sua fama presso le città libere del Sacro Romano Impero. E già in quel caso avevo citato i suoi accessori da combattimento: un olifante, cioè un corno, e una spada. Quest’ultima era talmente speciale da guadagnarsi addirittura un nome proprio. Si chiamava Durlindana. A me questo appellativo, vai tu a sapere perché, ha sempre evocato una bella dama. Ma, più che altro, sembra che fosse una bella lama. Perdonate l’altissimo gioco di parole, ma è la pura verità (leggendaria). Durlindana era indistruttibile e poteva facilmente tagliare la pietra.
Pare che queste caratteristiche le derivassero dall’essere, al tempo stesso, arma e reliquiario. Al suo interno si conservavano infatti un dente di San Pietro, un lembo del manto di Maria, i capelli di San Dionigi nonché il sangue di San Basilio. Insomma, un oggettino semplice forse regalato da Carlo Magno al suo più valoroso cavaliere. Dico forse perché sull’origine di Durlindana poeti e scrittori si sono sbizzarriti parecchio. Matteo Maria Boiardo e Ludovico Ariosto ci fanno sapere che l’arma era appartenuta ad Ettore, lo sfortunato eroe troiano. Secondo i compilatori della Chanson de Roland, invece, un angelo l’avrebbe consegnata personalmente a Carlo Magno. D’altra parte, se si vuol dar credito alla mitologia nordica, sarebbe stato il fabbro Weland a forgiare la spada.
Se abbiamo poche certezze riguardo alla genesi di Durlindana, sappiamo almeno dov’è finita. Ovviamente in un luogo stupendo che auguro a tutti visitare una volta nella vita, a prescindere da Orlando. La spada è conficcata nella roccia presso la quale si trova lo straordinario santuario di Rocamadour, nella regione del Périgord. Si tratta di un complesso religioso assai complicato dal punto di vista storico e architettonico. Per descriverlo in assoluta brevità: è una chiesa aggrappata a una falesia.
Bene. C’è però un’obiezione da fare. Secondo GoogleMaps, fra Roncisvalle e Rocamadour ci sono la bellezza di 359 km. Quindi la domanda è legittima: se a Roncisvalle, dove trovò la morte, Orlando aveva con sé Durlindana, com’è possibile che la spada se ne stia ora conficcata così lontana? Ma non dimentichiamo che il paladino era un eroe! Quindi, prima di esalare l’ultimo respiro, si provò a nascondere la sua preziosa arma al fine di non farla cadere in mani nemiche. Non riuscendovi, disperato, la lanciò più lontano che poteva. Cioè a quasi 360 km di cammino. Ad averlo saputo per tempo la nazionale francese di atletica poteva convocare Roland come giavellottista.
A volerla raccontare tutta, prima di scagliare la spada, Orlando aveva anche provato a distruggerla percuotendola su alcuni massi. Probabilmente, non era troppo lucido in quel momento visto che Durlindana era indistruttibile (e lo sapevano tutti). Ma possiamo noi immaginare che questo tentativo non abbia prodotto dei risultati tangibili? Certo che no. Basta andare sui Pirenei e raggiungere il Cirque de Gavarnie per poter ammirare una spaccatura fra le montagne. E’ alta 100 metri e larga una quarantina. Il nome della fenditura non potrebbe essere più eloquente: la Breccia di Orlando.
D’altra parte, che i cugini d’Oltralpe siano un tantino megalomani è cosa nota… a Roma si accontentano di individuare la pietra che non fu in grado di contrastare Durlindana con un ben più modesto masso di travertino collocato a breve distanza da Palazzo Montecitorio. Lo vedete nella foto del frontespizio. E se non siete convinti che si tratti dell’originale, fatevi affascinare almeno dal nome della via: vicolo della Spada di Orlando.
Non pensiate peraltro che in Italia centrale si parli del buon Roland solo nella capitale. Nei pressi di Sovana, in provincia di Grosseto, una grossa pietra situata in mezzo a un campo sfoggia il nome di “mano di Orlando”. Vi sono varie leggende riguardo alla genesi di questo singolare oggetto. I bene informati dicono che, incapace di espugnare la cittadina maremmana, il paladino nipote di Carlo Magno si inginocchiò nei pressi del sasso e cominciò a piangere per il dispiacere. Nel fare ciò afferrò il monolite con tanta forza da lasciare impressa l’impronta della sua mano. Secondo altri, invece, si trattò di un gesto di stizza, causato appunto dall’incapacità di battere i nemici.
Insomma: di leggende su Roland e Durlindana ce ne sono a bizzeffe. Io, però, un’idea ce l’avrei. E se le usassimo come pretesto per andare a verificare di persona? Stranamente, tutte queste storie sono ambientate in posti bellissimi.