Aimery Picaud, chi era costui? E’ stato colui che ha compilato la prima guida turistica della storia, ben prima di Baedecker e Frommer’s. In fondo, grazie alla sua invenzione il mio lavoro è decisamente più facile.
Qualche tempo fa vi ho proposto la mia top five di guide turistiche irrinunciabili. Ora vorrei parlarvi di quel genio a cui si deve la prima guida turistica mai scritta al mondo (o almeno in Europa, per quanto io ne sappia).
Ho già scritto del Cammino di Santiago e del suo simbolo, la conchiglia. Facile immaginare che, una volta che la via per Santiago divenne una meta di pellegrinaggio privilegiata, moltissimi decidessero di intraprendere il lungo viaggio sino alla tomba dell’apostolo Giacomo. Stiamo però parlando di un’epoca remota, nella quale utili ausili quali navigatore satellitare e connessione 4G erano ancora di là da venire. I poveri pellegrini, quindi, rischiavano facilmente di perdersi fra monti e valli, magari anche mal consigliati dai locali o dal loro stesso intuito.
Finché un bel dì Aimery Picaud non ebbe la folgorante idea: di ritorno dal Cammino scrisse l’Iter pro peregrinis ad Compostellam, che i francesi chiamano solitamente Guide du Pèlerin. Guida turistica rigorosamente in latino, cioè la lingua internazionale di quei tempi. E in effetti il buon Picaud pensava in grande, visto che l’opera è piuttosto poderosa. Descrive infatti quattro differenti vie, indicandone tappe, santuari da visitare, reliquie da venerare e illustrando le regioni attraversate e i tratti salienti delle popolazioni locali. Non pago, infarcì la sua guida di consigli bizzarri, quali l’indicazione delle fonti a cui era meglio non abbeverarsi onde evitare la morte e altre spiacevoli conseguenze. Senza dimenticare i piatti caratteristici di ciascuna zona e gli alberghi dove era possibile pernottare.
Non ho ancora avuto la fortuna di imbattermi nella versione integrale della guida, presto confluita nel Codex Callistinus, un corpus di testi scritti a gloria del culto di Compostela e composto sicuramente entro il 1140. Spero di rimediare presto a questa lacuna perché i pochi estratti che mi è riuscito di trovare sono interessanti, visto che ben lumeggiano l’epoca in cui l’opuscolo fu compilato. Non solo notizie geografiche o religiose, ma credenze, modi di pensare e di rapportarsi alla vita quotidiana. Uno specchio dei tempi, insomma. Ma anche una maniera per cogliere quei tratti che ci portiamo dietro come un pesante fardello, quali la diffidenza nei confronti degli stranieri o un certo senso di superiorità che il Picaud mostra senza troppi problemi.
Per rispondere alla domanda iniziale, Aimery Picaud era un monaco della regione dei Poitou, nella Francia occidentale. Visse nel XII secolo (ben prima del sig. Baedecker, insomma) e intraprese la via per Santiago al seguito di Guidi di Borgogna, il futuro papa Callisto II, di cui era segretario. La sua intuizione derivò da una semplice constatazione. Non solamente i pellegrini si perdevano. Soprattutto, notò, i santuari posti lungo le strade per Santiago erano rivali fra loro. “Ordinarli” lungo un itinerario avrebbe invece portato benefici a ciascuno di essi, visto che i pellegrini li avrebbero visitati tutti.
Picaud fu dunque genio del marketing oltre che compilatore della guida. A dir la verità non tutti concordano sul fatto che sia stato proprio lui a scrivere la Guide du Pèlerin, ma poco importa. Rimane il fatto che da allora in poi si sia avvertita l’esigenza di aiutare i viaggiatori nella pianificazione dei loro itinerari. Perché le guide, di carta o in carne e ossa, a questo servono: a mostrare quello che tutti vedono ma che non tutti conoscono.