Il coccodrillo di Palermo è un romanzo intrigante, esattamente come la città in cui è ambientato. Roberto Andò mette in scena una storia che accompagna il lettore nei meandri spirituali, prima che geografici, del capoluogo siciliano. Lasciandone intatto tutto il mistero.
Da anni Francesca ed io ci diciamo che dovremmo proprio andare a Palermo. E, dopo aver letto questo romanzo, ne sono ancora più persuasa. A patto di trovare qualcuno che ce la sappia raccontare. Perché, al di là della trama, il canto d’amore sofferto di Roberto Andò per la sua città ci restituisce l’immagine di un microcosmo complicato e avviluppato su sé stesso. Affascinante, misterioso ma anche inquietante. Coperto da un velo che non si può squarciare, ma solo, alle volte, scostare. Per intravedere quello che mai ci si sarebbe aspettati di trovare.
E, in effetti, ne Il coccodrillo di Palermo, il velo non viene mai squarciato, non c’è una chiusura definitiva. C’è un girare in cerchi concentrici sempre più stringenti. Ma, avvicinandosi alla meta, il protagonosta si accorge che le soluzioni potrebbero essere molteplici e che nessuno potrà mai più dire come siano andate veramente le cose. Ammesso che esista una sola verità.
Ma soluzioni a quale enigma? Già l’inizio del romanzo è davvero particolare. A causa di un tentativo di furto a casa dei defunti genitori, il regista di documentari Rodolfo Anzo è costretto a lasciare Roma per tornare, dopo dieci anni di assenza, a Palermo. Aggirandosi nell’appartamento deserto, trova delle vecchie intercettazioni che suo padre, poliziotto, ha indebitamente trattenuto. Non solo: l’io narrante trova anche l’invito paterno a rintracciare gli intercettati onde restituire loro le bobine. Inizia così un viaggio fra i meandri di Palermo, alla ricerca di persone assai diverse tra loro e che sembrano non avere nulla in comune. Tutto questo si trasforma ben presto in movimento interiore, volto ad analizzare la figura del padre, i suoi non-detti, il senso di questo strano compito.
Così, di capitolo in capitolo, ci si imbatte in figure che, se non fossero a Palermo, sembrerebbero impossibili da incontrare. E, ancor di più, ci si immerge nello spirito di una città impossibile da decifrare, con le sue contraddizioni, gli antichi problemi mai risolti, la sua varia umanità. Sicuramente non uno spot pubblicitario patinato, ma un modo di raccontare che avvince per l’alone di impenetrabilità che è sempre ben presente. Dunque Palermo diventa la metafora di ognuno, portatore di frammenti di vita che, anche quando sembrano essere perfettamente legati fra loro, si dimostrano spesso molto più difficili da decifrare. Per non parlare degli incontri che si fanno, per i quali non si può mai veramente dire chi è il buono e chi è il cattivo.
Il coccodrillo di Palermo non è certo un romanzo ‘da ombrellone’ ma è un’opera evocativa, che da un lato racconta di un mondo (o, forse, di più mondi) e, dall’altra, continua a riverberarsi nel lettore. Perché si vorrebbe scoprire di più, ma alla fine, ci si rende conto che la vera scoperta è lungo il viaggio: gli odori, le persone, le situazioni sono tutte lì a indicarci qualcosa. Che cosa spetta a ognuno di noi cercarlo.
Roberto Andò, Il coccodrillo di Palermo, La nave di Teseo, Milano, 2025