Visitando le chiese disseminate nella penisola Iberica, non è raro trovare organi abbastanza differenti da quelli che si trovano normalmente in Europa. Non per forza sono enormi, ma incuriosiscono per la loro forma: sospesi a mezz’aria, presentano inusuali canne orizzontali. Qui vi spiego quando e perché sono nati gli organi iberici.
La foto qui sopra è stata scattata nella Sé di Braga, in Portogallo. Ma di organi come questi se ne trovano moltissimi in tutta la penisola Iberica. Le canne orizzontali saltano subito all’occhio, è vero, così come la veste barocca della cassa d’organo. Fin troppo, mi si dice di solito. Io amo il Barocco, lo trovo perfetto specchio della sua epoca e al contempo attualissimo. E, in effetti, anche lo strumento che mi appresto a descrivervi è degno figlio del suo tempo.
Ma procediamo con ordine. Il suo inventore ha un nome: padre José de Echevarría. Era un francescano di Eibar, a una cinquantina di chilometri da Bilbao, Paesi Baschi. Visse nel XVII secolo, periodo di massimo splendore del Barocco. Sue furono le intuizioni tecniche che consentirono di creare uno strumento dalle sonorità più ricche e potenti, in grado di proporre effetti di eco, di crescendo e di diminuendo, nonché una limpidezza del suono quasi estasiante. Tutto ciò grazie alla cosiddetta “cassa degli echi”, una sorta di armadio in cui sono collocate alcune canne il cui suono può essere modulato grazie all’apertura di ante azionate direttamente dalla tastiera.
Non solo: la caratteristica più evidente, come vi preannunciavo, è legata alle canne orizzontali, posizione in gergo definita in spagnolo en batalla e in francese en chamade (per l’uso di convocare – o chiamare – le assemblee con uno squillo di tromba). Ho letto da qualche parte che uno dei motivi per i quali si decise per questa collocazione risiede nel fatto che si pensava di preservare lo strumento dalla polvere. Sarà pur vero, ma l’organo iberico ha anche canne verticali, che facilmente si riempiono di polvere. Pare comunque che le canne che riproducono lo squillo di tromba abbiano bisogno di maggiore manutenzione e che, quindi, la possibilità di raggiungerle più facilmente fosse un vantaggio.
Di mestiere faccio la guida e non l’organaro, sicché mi fido degli esperti che così scrivono. Però consentitemi il momento poetico. Grazie all’inusuale collocazione delle canne, il suono si propaga in direzioni differenti, in alcuni casi “cade” direttamente verso l’aula e i fedeli, in altri “sale” verso l’alto. Si avverte così una sorta di dialogo fra le parti, che parlano, si contrappongono, rincorrono, fino a raggiungere l’inevitabile conclusione. Si è avviluppati dal suono, che arriva letteralmente da ogni canto.
Si guarda in alto, ascoltando la musica che proviene dagli organi iberici. Non solo per ammirare gli strumenti stessi, vivacissimi nella loro apparente immobilità, ma anche per farsi guidare dalla musica nell’infinito gioco di rimandi che stucchi, dorature, sculture e affreschi vogliono suggerire. Ci si perde e ci si estrania, si entra in un mondo a parte, intricato e misterioso. Si dimentica quel che c’è fuori e, per qualche istante, le trombe e i clarini sembrano suonati dagli angeli che svolazzano nel cielo. E’ una sensazione che dura pochi istanti, ma che, ogni volta, mi ricorda la genialità di un frate francescano che pochi, anche a casa sua, conoscono.