Con il racconto di oggi vi porto vicino a casa, nella mia Varese. Andiamo a ‘caccia’ di elefanti! Anzi, di un elefante… quello di Bregazzana.
Questa storia comincia, per me, in un lontano e caldo pomeriggio di inizio estate quando mio padre, approfittando della mia ingenuità di bambina di 4 anni, mi propose di andare a vedere l’elefante… Potete ben immaginare il mio entusiasmo! Che bello poter vedere dal vivo un animale tanto particolare! Ecco… riuscite ad intuire la mia delusione nel ritrovarmi davanti a un elefante di bronzo? E per di più in un cimitero?
Ma che cosa ci fa un elefante al cimitero di Bregazzana?
Avete capito bene: l’elefante di cui parliamo è un monumento funebre, una tomba! Indubbiamente bizzarro (tanto più che l’animale è praticamente a dimensione naturale) ma poco entusiasmante per una bambina. Ma è meglio procedere con calma e chiarire un paio di cose per chi, tra di voi, non fosse varesino: Bregazzana non è in India e nemmeno in Africa, è un piacevole borgo immerso nel verde dei boschi delle Prealpi varesine. Ma allora come ci è finito il nostro pachiderma ai piedi del Sacro Monte? È presto detto: è tutta ‘colpa’ (o merito) della birra! Non perché voi dobbiate bere birra per vedere l’elefante, ma perché il bronzeo pachiderma nasce da un’idea di Angelo Magnani, proprietario della vicina birreria Poretti.
Brevissima storia del birrificio Poretti
L’azienda viene fondata da Angelo Poretti, zio del nostro committente. Originario di Vedano Olona, Poretti trascorre molti anni tra Austria, Germania e Boemia, dove lavora per le ferrovie imperial-regie austriache. Lavoratore indefesso, riesce ad arricchirsi e a diventare appaltatore di alcune linee ferroviarie. Tornato in Italia in compagnia della moglie Franziska Peterzilka e del mastro birraio Emanuel Anger, nel 1876 acquista all’inizio della Valganna un’area industriale dismessa e la trasforma in birrificio, facendo arrivare dall’estero i macchinari necessari. Dall’estero provengono anche le materie prime utilizzate, in special modo il luppolo. Tutta locale, invece, è l’ottima acqua utilizzata che proviene dalla fonte chiamata fontana ‘degli ammalati’, situata a pochi metri dal birrificio ed acquistata dallo stesso Poretti.
Il 26 dicembre 1877 comincia la produzione: la prima birra Poretti è una lager bionda di stile Pilsner. La scommessa è subito vinta: nel 1878 inizia la produzione regolare. Poretti apre anche una vera e propria birreria in piazza Beccaria, nel centro di Varese. Una notorietà destinata a crescere e a uscire velocemente dai confini cittadini, anche grazie all’epidemia di peronospera che proprio negli stessi anni decima le viti di buona parte d’Italia, riducendo pesantemente la produzione vinicola.
Nel 1881, in occasione dell’esposizione nazionale di Milano, arrivano anche i primi riconoscimenti ufficiali. Angelo Poretti diventa ben presto presidente del Comitato Permanente dell’associazione fra i birrai italiani. Quando Poretti muore, nel 1901, alla guida del birrificio gli subentrano i quattro nipoti: i fratelli Angelo e Tranquillo Magnani, Edoardo Chiesa e Francesco Bianchi. Sono loro i promotori del rinnovamento del sito produttivo: affidano i lavori di ristrutturazione della fabbrica, nel 1905, allo studio di architetti tedesco Bihl e Woltz. il risultato sono degli splendidi edifici in perfetto Jugendstil. Un’azienda tutta nuova che vuole guardare alla modernità e al futuro…
To
rniamo all’elefante!
Non distraiamoci troppo e torniamo al nostro elefante! Perché Angelo Magnani lo commissiona al famoso sculture di Viggiù Enrico Butti e al varesino Ernesto Brusa nel 1919? Probabilmente perché è alla ricerca di qualcuno capace di creare un’opera che, ancora una volta, sia capace di raccontare l’eccezionalità del suo committente.
Quello che non ci è dato di sapere per certo è perché la scelta sia ricaduta proprio su un elefante. Alcune voci (mai confermate) dicono che fosse un omaggio all’animale che, anni prima, aveva salvato la vita a Magnani durante una battuta di caccia alla tigre in India. C’è anche chi ha pensato ad un omaggio al Buddismo ma la spiegazione più probabile sembra essere la più banale: Magnani, da buon borghese del suo tempo, è affascinato dall’esotismo, dai viaggi e dall’eclettismo, tipico del periodo Liberty.
Inoltre l’elefante può anche essere interpretato come rassicurante simbolo di solidità, di lavoro. Il pachiderma, infatti, è rappresentato in movimento, mentre attraversa una piccola foresta di bambù. Sulla groppa regge una sorta di portantina realizzata in bronzo e vetro. L’effetto, soprattutto quando lo si scorge da lontano, è davvero realistico… E doveva esserlo ancora di più quando venne collocato (dal 1919 al 1924) nel giardino di villa Magnani! Inizialmente, infatti, il nostro elefante non è utilizzato come monumento funebre, ma come gazebo!
Non avete idea del mio stupore quando ho scoperto che al di là della porta liberty, su cui compaiono le effigi dei coniugi Magnani, c’è una vera e propria piccola ‘stanza’ ricoperta di mosaici dorati. La vera sorpresa è stata, però, la scoperta di una pulsantiera: da qui, probabilmente, si poteva chiamare la servitù di casa…. Bere un thé all’ombra di un pachiderma, decisamente un’idea anticonformista! Alla morte di Magnani, nel 1924, l’opera viene portata a Bregazzana. Vi confesso che mi sarebbe piaciuto vederne l’arrivo!
Forse non a tutti piacque l’idea di un simbolo così esotico nel piccolo cimitero. A tale proposito, l’ennesima leggenda metropolitana racconta che, per fare un ‘dispetto’ all’allora parroco del paese (con cui non aveva buoni rapporti), Magnani abbia chiesto di posizionare il suo elefante con le terga rivolte al campanile del paese…Possiamo serenamente dubitarne ma chissà… Quello che è certo è che dovreste venire a dare un’occhiata di persona, non capita spesso di incontrare elefanti in città!