Una sera speciale in un posto speciale. Perché il Sommernachtskonzert, che si tiene ogni estate nel giardino del castello di Schönbrunn è una festa per tutti.
Amo Vienna perché è musicale. Qui si è fatta la storia della musica, qui le note continuano a risuonare in ogni dove. Basti dire che al Teatro dell’Opera va in scena uno spettacolo ogni sera. 365 giorni l’anno. Ci sono poi concerti per ogni gusto e per ogni tasca, da quello di Capodanno del Musikverein a quelli venduti da improbabili novelli Mozart a pochi passi dal duomo di Santo Stefano. Insomma: basta attrezzarsi e, volendo, uno spettacolo musicale a Vienna non si nega a nessuno. C’è però un evento imperdibile, che consiglio anche a chi non è particolarmente cultore del genere. Si chiama Sommernachtskonzert. E ora ve lo racconto.
Lo scioglilingua Sommernachtskonzert significa “concerto di una notte d’estate”. Non ha una data fissa e nemmeno è nato per una ragione particolare. Inoltre, non è un appuntamento tradizionale di quelli che, cascasse il mondo, si ripetono ogni anno sin dalla notte dei tempi. Quest’ultimo, peraltro, è un dettaglio tutt’altro che trascurabile in una città che della sua storia fa vanto e mostra. In realtà, il primo concerto d’estate è stato organizzato nel 2004. Nemmeno il programma è monotono (pensate a Capodanno e alla Marcia di Radetzky): cambia ogni anno, a seconda degli interpreti e, ultimamente, del tema prescelto. C’è però un elemento che, oramai, è diventato tradizione: la location. Sin dal suo primo appuntamento, il Sommernachtskonzert si è tenuto nel giardino del castello di Schönbrunn. E l’orchestra è sempre la stessa: quella dei Wiener Philarmoniker.
Al Sommernachtskonzert io ci sono capitata per caso. L’estate è altissima stagione per me, è difficile ritagliarsi qualche giorno di tempo per andare ad ascoltare un concerto a Vienna. L’anno prima, tanto per dire, ero stata nella capitale austriaca troppo tardi e mi ero dovuta accontentare di una proiezione che avevano fatto nel giardino antistante al Municipio. Quella volta, invece, la congiunzione astrale è stata dalla mia: quel giorno avevo incontrato i miei clienti neozelandesi, appena giunti in Europa dopo un volo a dir poco estenuante (e relative valigie perse). Naturale che volessero andare a letto il prima possibile. Io, invece, ero sveglia come un grillo e di certo non volevo lasciarmi sfuggire l’opportunità.
Andarci è stato semplice: non occorre biglietto, quindi mi è stato sufficiente presentarmi ai cancelli, superare un controllo di sicurezza (invero molto discreto) e cercare un posto di mio gradimento per godermi lo spettacolo. Quel pomeriggio aveva piovuto, sicché ho optato per fermarmi in piedi, circa a metà del parterre del magnifico giardino. Peraltro bisogna dirlo: di sedie non ce ne sono proprio (per nessuno). Quindi o in piedi o seduti sull’erba (umida).
Per ingannare l’attesa, ho cominciato a guardarmi intorno. Sembrava una festa di paese, con qualche bancarella che vendeva acqua e semplici vettovaglie da sgranocchiare e persone di ogni età, felici ed eccitate per l’evento a cui stavano per assistere. Viennesi doc e turisti, bambini e anziani, famiglie e gruppi di amici. Tutti serenamente in attesa. Dando le spalle al palco, la vista era incredibile: la collina della Gloriette brulicava di persone sedute sul prato. Avendo percorso diverse volte il sentiero che porta in cima al colle, ho una certa idea delle sue dimensioni: ebbene, il pendio era multicolore, non c’era più un solo spazio da riempire.
Al calar della sera, sono arrivati gli orchestrali e il Sommernachtkonzert è cominciato. Per me è stata la prima (e per ora unica) occasione per ascoltare i Wiener Philarmoniker dal vivo. L’acustica non era certo quella del Musikverein, la loro “casa”, ma l’emozione collettiva era così grande da far dimenticare ogni scomodità e qualsiasi sbavatura. Tutti ascoltavano in gioioso silenzio, conquistati dal programma abbastanza insolito (il tema era “Rhapsody in Blue”, con chiaro riferimento a Gerschwin e alla musuca nordamericana) e dall’energia di Gustavo Dudamel. Una festa a tutti gli effetti, senza nessun rituale né eccessiva deferenza.
Verso il finale, sono stata assalita da un dubbio: come faranno così tante persone (ho scoperto poi che eravamo circa 85.000, più di tutti gli abitanti di Varese) ad uscire dal parco e a far rientro a casa? Ecco, io non so spiegarvelo, ma la danza collettiva è proseguita anche dopo il concerto. Volontari e impiegati della società dei mezzi pubblici indicavano la direzione e, in pochissimi minuti, mi sono ritrovata sulla banchina della metro. Un treno dopo l’altro, tutti hanno potuto salire a bordo senza calca e senza “lotta”.
Quello che mi è rimasto di quel concerto è l’armonia che ho vissuto. C’era spazio per tutti, si respirava il desiderio di passare una bella serata, di salutare le belle giornate estive con una festa collettiva. Elegante, perché la musica lo era, ma popolare al tempo stesso. Una festa di note e di luci. Una festa per lo spirito e per l’essere, per una volta, sereni tutti insieme.